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“ Derivante dal termine inglese “To mob” che significa “attaccare, assalire tumultuosamente, accollarsi intorno a qualcosa e a qualcuno”, scelto per primo da Konrad Lorenz per descrivere il comportamento aggressivo di alcune specie di uccelli consistente nell’accerchiamento di un altro membro della specie in maniera talmente aggressiva da costringerlo o alla resa o addirittura alla fuga, ripreso negli anni ’80 dallo psicologo del lavoro H. Leymann, che lo applicò per spiegare un nuovo disturbo che aveva osservato in alcuni impiegati e operai svedesi sottoposti ad una serie di traumi psicologici sul luogo del lavoro, il termine Mobbing oggi viene utilizzato per indicare una “condotta lavorativa che provoca malattie e disordini post-traumatici da stress” , “una forma di terrore psicologico sul posto di lavoro esercitata attraverso comportamenti aggressivi e vessatori ripetuti da parte di colleghi o superiori” (Ege, 1997); “una situazione lavorativa di conflittualità sistematica, persistente ed in costante progresso in cui una o più persone vengono fatte oggetto di azioni ad alto contenuto persecutorio da parte di uno o più aggressori di posizione superiore, inferiore o paritaria, con lo scopo di causare nella vittima danni di vario tipo e gravità. Il mobbizzato si trova nell’impossibilità di agire adeguatamente ai vari attacchi e a lungo andare accusa sintomi psicosomatici di varia natura…”
(H.Ege, 2002)
“Il Mobbing è un fenomeno tipico dei gruppi di lavoro. È raro trovare delle azioni mobbizzanti tra amici o tra i membri di un club sportivo. Infatti, se all’interno del gruppo amicale o sportivo si genera un conflitto non risolto da cui generalmente nasce il Mobbing, oppure se il gruppo diviene ostile nei nostri confronti, possiamo sempre uscire da esso e trovarci un altro gruppo. Per i gruppi di lavoro le cose non sono sempre così facili e immediate, in quanto “il lavoro è l’ingresso nella società: viviamo con il nostro stipendio, cioè siamo direttamente dipendenti dalle nostre prestazioni professionali. Se abbiamo un conflitto sul posto di lavoro spesso chiudiamo gli occhi per non rendercene conto o (se non siamo la vittima) per non esserne coinvolti. E proprio in questa fase comincia il Mobbing” (H. Ege, 1996).Se analizziamo il processo di crescita emotiva e dell’identità dall’infanzia fino all’età adulta, ci rendiamo conto dell’importanza per la salute psicofisica del lavoro, del sentirsi parte di un gruppo di lavoro e della società più in generale, e di quanto, quindi, possa essere devastante l’effetto di un qualsiasi fenomeno (malattia o altro) che interferisca con questo stato. Tutta l’adolescenza è centrata sulla ricerca della propria identità e si conclude con l’acquisizione di una identità, attraverso diversi processi di separazione-individuazione, l’esperienza in vari tipi di relazioni (sentimentale, amicale, ecc.), l’emergenza di nuove e più complesse emozioni, di un senso di sé e dell’altro più completo, anche se pieno di contraddizioni e ambiguità…Alla fine di questa avventura adolescenziale si entra nella fase adulta, con una propria identità personale e sociale. L’identità sociale deriva anche dal senso di appartenenza ad un gruppo lavorativo che legittima, oltre che immettere, il nostro essere nel mondo. Se viene meno l’identità sociale, viene meno una parte importante della nostra identità, del nostro Sé. Quando un individuo all’improvviso si ammala gravemente e deve per questo lasciare il proprio lavoro per curarsi, entra in una profonda crisi di disperazione e di angoscia che non derivano solo dalla paura di morire, o di perdere i propri cari, o la propria autonomia fisica e psichica; ma anche dalla frantumazione della propria identità sociale e dalla perdita del proprio significato sociale. Divengono quindi assillanti gli interrogativi esistenziali del tipo “Chi sono, a cosa servo, perché sono qui…”, e si abbandona la prospettiva del futuro per concentrarsi solo sul presente e ricordare con amarezza il passato. Abbiamo quindi un restringimento degli interessi della persona, del suo spettro temporale e del suo bagaglio emotivo-relazionale. Questo avviene anche se una persona è costretta ad abbandonare il lavoro per altri motivi, non legati strettamente alla salute, ma all’ambiente lavorativo (stress, conflittualità sistematica, fallimento dell’azienda, mobbing). Il Sé si destruttura, si frantuma; il tempo perde la prospettiva del futuro; lo spettro emozionale si restringe alla rabbia, alla depressione e all’ansia. L’identità perde il suo equilibrio e si abbandona alla disperazione e all’angoscia di chi non sa più cosa fare della sua vita e di se stesso. Il lavoro, infatti, fornisce un significato alla nostra esistenza, legittima il nostro esistere; soprattutto in una società come la nostra, dove la realizzazione professionale è l’obiettivo principale della maggior parte delle persone. Per questi motivi, il Mobbing riveste un interesse fondamentale non solo nell’ambito della psicologia del lavoro, ma anche in quello della psicologia clinica, in quanto va a sconvolgere l’assetto psicologico-sociale dell’intera persona mobbizzata. Con il termine Mobbing non ci si riferisce ad una malattia o patologia; il Mobbing è una situazione di conflittualità sistematica e duratura, che a lungo andare può produrre sulla persona effetti psicosomatici e psicologici anche devastanti e condurla a reazioni estreme come il suicidio e l’omicidio. Ovviamente, gli effetti di questo fenomeno sull’individuo dipendono da diversi fattori, tra cui la personalità del soggetto, la sua storia passata, il contesto familiare in cui vive, la sua situazione economica, le sue risorse personali e sociali, e le sue strategie di cooping. Possiamo definire, in termini più strettamente clinici, il Mobbing come una patologia delle relazioni di gruppo.” [Laura Cervone, psicologa del Centro Confsal Antimobbing “Rodolfo Degoli”]